Il racconto dell'ancella
Review by Wuthering Heights
Nella mia carriera di lettrice ho letto parecchi romanzi distopici; il primo in assoluto è stato
La fattoria degli animali, piccolo per spessore ma indimenticabile per motivi di qualità.
Nel corso del tempo ho continuato a ricercare questo filone e ho letto 1984 (sempre Orwell), Noi ( Zamjatin), Il mondo nuovo ( Huxley), Il signore delle mosche ( Golding) per citarne alcuni.
Mi sono piaciuti tutti, per motivi diversi, e hanno sempre lasciato tra i miei pensieri i sintomi di una inquietudine crescente. Anche domande a cui è difficile trovare risposte.
Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood ( edito Ponte delle grazie, 2017 ) ha costituito una svolta per me.
Sinossi: l'America è stata trasformata, non è più quella che conosciamo; sui resti dei vecchi Stati Uniti, spazzata via la Costituzione e fatta piazza pulita del Presidente, è sorto un regime teocratico e totalitario - Galaad.
Poiché la bomba atomica e varie altre vicissitudini dolorose hanno esteso nel mondo la sterilità, le poche donne capaci di generare la vita vengono private di tutto - della libertà in toto - e costretta a diventare Ancelle in famiglie ai vertici del nuovo potere. Compito delle Ancelle è solo quello di riprodursi.
La prima riflessione che ho fatto è stata questa: tutte le distopie lette fino ad ora sono state scritte da autori uomini. Margaret Atwood è nota per essere una delle autrici canadesi contemporanee più importanti; ha al suo attivo moltissime opere ed è stata in lizza per il premio Nobel.
Dotato di una trama molto originale e molto ben costruita, il libro risulta anche parecchio inquietante per via del modo realistico in cui è stato costruito.
La voce narrante è quella di Difred, l’Ancella, una donna a cui è stato strappato tutto - compresa la famiglia - anche il nome.
Di - Fred non è altro che un patronimico; è il segno dell’appartenenza di una creatura di sesso femminile ad un essere di sesso maschile.
Questo sta a significare che, una volta assolto il dovere, o peggio ancora non assolto, ad una ancella sopraggiungerà un’altra con lo stesso nome. L’identità è quindi cancellata del tutto. Inquietante, vero?
La struttura della nuova società - Galaad - non viene spiegata sin nei minimi dettagli; non si tratta di uno studio tecnico ( come abbiamo visto in 1984, ma anche in Noi di Zamjatin ) e particolareggiato.
Eppure questa entità inquietante viene raccontata e la sua presenza rigida, fanatica, trapela ugualmente dal “racconto” della nostra protagonista.
Ma chi è realmente Difred? Non viene rivelato molto, neanche il suo vero nome. Il nome si perde nella mischia dei nomi appartenenti alle altre donne.
Più che del suo desiderio di ribellione al regime, Difred ci parla del suo desiderio di vita.
Altri personaggi, quali Diglen - un’altra ancella - e Moira, amica dei tempi di “prima”, sarebbero stati, a mio parere, molto più adatti a ricoprire il ruolo di ribelle e di eroina. Questo è comprensibile da alcuni gesti, discorsi, attraverso i quali le altre due donne mettono in evidenza tutta la loro capacità di lottare. E resistere. Anche Difred resiste, ma il suo è tutto un altro genere di resistenza. E’ la resistenza dell’essere umano che vuole vedere un’altra alba, respirare l’aria piena dell’aroma di fiori. Lei è semplicemente un essere umano capitato all’interno di una atrocità.
Penso che se Margaret Atwood avesse scelto come protagonista Diglen oppure Moira, il romanzo sarebbe stato ben diverso; non meno bello, ma diverso.
Di Difred mi è piaciuta la voce interiore; è senz’altro una protagonista con cui si può empatizzare facilmente.
Un’altra domanda che mi sono fatta spesso - in continuazione! - durante la lettura è stata la seguente: come avrebbe, l’autrice, spiegato l’uso della forma del racconto?
Mi spiego meglio, se l’espediente narrativo non avesse avuto una risoluzione quale invece ha avuto, il lettore avrebbe potuto giudicare il romanzo come qualcosa di campato in aria. In termini di realismo.
Invece la trovata della Atwood ha donato qualcosa di maggiormente concreto al “racconto” di questa donna - un racconto con uno scopo.
Il romanzo, infatti, ha una conclusione incerta, e l’ultimo capitolo ci fa fare un salto di più centocinquanta anni. In quel futuro, ove il regime di Galaad è stato evidentemente debellato, ha luogo un congresso di “Studi Galaadiani”. In quell’ambito, alcuni professori, studiosi in particolare, discutono di quello che è stato chiamato a posteriori “Il racconto dell’ancella” - un documento registrato su cassette e poi trascritto.
Geniale, no? Io l’ho trovato brillante.
In questa sede vengono fornite delle spiegazioni; dubbi sorti durante la lettura vengono sciolti. Magari si hanno anche delle conferme.
Nel corso del libro, l’approccio alla vita di Difred - un approccio che a volte sembra quasi naturalista, filosofico - mi ha fatto scoprire bellissime riflessioni.
Molte riflessioni vengono fatte in merito al corpo, in particolare al corpo femminile.
Il corpo della donna viene demonizzato così tanto, dalla società esterna, da diventare un tabù anche per la donna stessa.
“La mia nudità comincia ad apparirmi strana. Il mio corpo sembra appartenere ad un’altra epoca. Ho davvero indossato costumi da bagno in spiaggia? Sì, senza pensarci, senza darmi pensiero che le mie gambe, le mie braccia, cosce e schiena fossero in mostra, venissero guardate. Svergognata, impudica. Evito di osservare il mio corpo, non perché pensi che sia svergognato o impudico, ma perché non voglio vederlo. Non voglio vedere qualcosa che mi definisca così completamente.”
Il corpo della donna è al centro di tutto; anche oggi, nel mondo in cui viviamo noi.
A Galaad, le ancelle vestono di rosso. Lunghi abiti che coprono tutta la superficie del corpo, sia d’estate che d’inverno, e unica macchia bianca la cuffia dalle alette protettrici. Non si deve vedere nulla, del volto di una donna, sopratutto gli occhi. Anche la postura, attenta, difensiva, macchiata da un senso di colpa originale potremmo dire. Proprio nel senso biblico.
Un’altra caratterista che ho trovato geniale: nella costruzione della società di Galaad, mettere in evidenza quanto fosse stata, ad opera dei suoi “ideatori”, una sintesi di altre ideologie.
Questa è una idea vincente, perché il Nazismo, ad esempio, aveva attinto ad un bacino ampio iconografico e mitologico.
Ritornando al corpo delle donne nel libro: l’autrice ha svolto un lavoro accurato.
E’ riuscita a rendere evidente l’ossessione di nascondere, quasi cancellare il corpo femminile, e, di contro, mostrarlo apertamente in tutta la sua vulnerabilità. In tutto ciò che è.
La violenza psicologica, oltre a quella fisica di cui sottolineare le modalità sarebbe scontato, è abbondante.
Inizia con la disintegrazione dell’individuo - passo dopo passo, a partire dalla perdita del nome, prosegue in modo sottile e non.
A sovrintendere ad una “scuola” da cui si esce addirittura con una sorta di “diploma”, sono le Zie.
Già il fatto che siano altre donne a sorvegliare e calpestare i diritti di quelle più giovani è una vera beffa; poi il termine “Zie” che dovrebbe presupporre ambienti materni e rassicuranti, indica invece tutt’altro.
Le Zie sono anziane signore, in alcuni casi vere fanatiche del regime, in altri donne che per sfuggire ad un destino crudele hanno preferito detenere questa sorta di potere sulle altre.
Non sono solo le giovani donne fertili ad essere oggetto di violenza, a Galaad, ma tutte.
Le donne giudicate inutili, quindi “NonDonne” vengono mandate presso le Colonie, luoghi distrutti dalla bomba atomica - a raccogliere macerie; le mogli dei Comandanti - donne facenti parte della Elite quindi - sono costrette ad assistere impotenti, relegate al ruolo biblico di Rachele quanto lo sono le Ancelle nel ruolo di Bilha.
Ci sono poi le Marte, domestiche represse; le giovani figlie del regime date in pasto a matrimoni prematuri; le prostitute di “Gezebele.”
In tutto questo, rimane uno spazio per l’amore?
E’ quello che si chiede Difred, una donna che osserva, che “sente” molto ciò che le accade intorno e lo interiorizza nel corpo all’interno del quale non accade più niente di bello.
“Sono come una stanza dove un tempo accadevano delle cose e adesso non accade nulla, tranne il polline delle gramigne che crescono là, fuori dalla finestra, e che viene soffiato all’interno come polvere sul pavimento.”
Il racconto di Difred spazia dal presente a flashback sul suo passato.
L’intenzione è quella di dare profondità alla storia, mostrare il cambiamento terribile che lei in prima persona ha vissuto e che ha coinvolto l’intero mondo che viveva e conosceva.
Le cose sono accadute gradualmente.
Prima un clima di tensione, poi i controlli sempre più accurati, il fanatismo in crescita, le tessere da timbrare per ogni servizio civile; il licenziamento di tutte le donne dai posti di lavoro, infine l’esodo.
La mia opinione è che questo racconto abbia la potenza rara di una premonizione; è stato costruito talmente bene da avere l’impatto dell'incubo sopra il dormiente. Sembra dire: svegliatevi, voi che siete ancora in tempo!
Non posso che consigliarvelo per tutti questi motivi che ho elencato, per la sua temibile attualità e per la qualità di una prosa musicale, profonda, scorrevole e godibile.
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