martedì 19 febbraio 2019

E morì con un felafel in mano, di John Birmingham: recensione


E morì con un felafel in mano
Ovvero i disagi della coabitazione negli anni 90












John Birmingham è nato a Liverpool ma si è trasferito, ancora ragazzino, in Australia con i suoi genitori.
Nella terra dei canguri ha potuto fare le esperienze che gli hanno poi ispirato un libro oggi definito un cult. 
Scritto nel 1994, E morì con un felafel in mano, ha riscosso grande successo e ispirato una trasposizione cinematografica anch’essa molto amata. Distribuita da Fandango, in Italia, nel 2001.
Il libro è stato recentemente pubblicato in una nuova edizione, da Fandango libri

Di cosa parla questo cult amato da generazioni di giovani?

Il tema della coabitazione è il punto focale del libro. Il romanzo assomiglia più ad un resoconto, un diario, un articolo molto lungo. Per questo motivo la narrazione risulta leggera e le pagine scorrono veloci. 

John Birmingham ha traslocato circa 89 volte, dividendo gli spazi con centinaia di persone. Le abitudini strambe, pericolose e assurde di queste persone costituiscono il cuore del libro. 
Il resoconto in prima persona dell’autore abbraccia una sequenza di aneddoti firmati dai suoi conoscenti e amici. Sono aneddoti di vita comune, esperienze imbarazzanti e inquietanti che ricordano la penna fiammeggiante di Irvine Welsh e del suo Trainspotting.
La maggior parte delle volte il libro è esilarante; vengono raccontate talmente tante situazioni assurde che la risata è spontanea. Ma in realtà c’è un lato amaro, un richiamo alla situazione di disagio di giovani e meno giovani che decidono di condividere la casa con altre persone.

Da questo punto di vista - anche se il fenomeno è stato numericamente importante soprattutto negli anni novanta - il tema risulta attualissimo anche oggi. Lo sanno bene i tantissimi studenti universitari che si recano a studiare fuori, e che sperano di trovare coinquilini per lo meno accettabili.
E’ questo desiderio che si riverbera sempre nei pensieri di John, narratore e autore del libro, e che viene sempre deluso.
Le coabitazioni di John con i tanti, tantissimi sconosciuti, si concludono con una delle due parti che scappa via di casa lasciando una salata bolletta del telefono da pagare. O peggio.

E che dire delle ossessioni di chi condivide uno spazio vitale con altri quattro o cinque esseri umani sconosciuti?

Ci sono le famose liste dei doveri da assolvere, le liste della spesa; le abitudini assurde coltivate da esseri umani problematici e non. Provate a vivere con qualcuno che ama fissarvi mentre dormite.

Leggendo E morì con un felafel in mano è normale porsi delle domande anche di interesse sociologico.

Come mai uomini e donne con un lavoro – non solo studenti – preferivano condividere abitazioni spesso difettose con estranei, piuttosto che avere una casa loro? Si tratta di un diverso modo di considerare la vita e la proprietà privata, forse?

Cosa si prova a dover fuggire di notte da una casa infestata di pulci e ratti? Laddove, pulci e ratti rimangono meno pericolosi di una banda di fattoni con il pallino dell’hard rock che si scoprono essere anche satanisti incalliti. 

Questa vita avventurosa ha ispirato a John Birmingham un romanzo divertente e leggero, sì, ma anche profondo.

Sono tantissimi i personaggi che emergono dalla storia; la maggior parte di loro coltiva giorno per giorno disagi e mali incurabili, mali dell’anima che sembrano essere partoriti da una malattia estesa su larga scala.

Il lato più interessante del libro è quindi la sua anima da romanzo di formazione. Alla fine di tutte queste esperienze, ultima delle quali il ritrovamento di un uomo morto in casa, John Birmingham si rende conto di dover guardare altrove e forse crescere. 

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