martedì 18 luglio 2017

Rebecca by Daphne du Maurier: Recensione!


Rebecca
Review by Wuthering Heights






Last night I dreamt I went to Manderley again.


I romanzi e i loro incipit, famosi abbastanza da rimanere nella memoria del loro pubblico per sempre. Rebecca, immortale romanzo dell'autrice Daphne du Maurier, inizia nel modo più nostalgico possibile – con un sogno.
Sin dalle prima parole si palesa la protagonista della storia, la splendida tenuta di Manderley in Cornovaglia. Secondi ad essa sono i personaggi in carne ed ossa, i quali subiscono fortemente il potere del luogo.

Di che parla il romanzo?

La scena si apre a Monte Carlo. Una giovane donna è al seguito della antipatica americana che l'ha assunta come dama di compagnia. Non si fa menzione del nome della ragazza, che è pacata voce narrante della storia. La giovane donna incontra un ricco vedovo, Maxim de Winter, i due si fidanzano tempestivamente ed ella parte con lui alla volta di Manderley – l'amata proprietà. Le belle speranze della giovane moglie si scontrano subito, una volta arrivati a destinazione, con la figura mai dimenticata della precedente moglie di de Winter: Rebecca.

Cosa cerchiamo in un libro? E' una delle domande che mi pongo più spesso. Io sono cresciuta con i romanzi inglesi e col tempo ho maturato la necessità di leggere romanzi in cui l'introspezione psicologica ha un ruolo importante se non fondamentale. Ho letto di recente My Cousin Rachel, subito dopo ho preso in mano Rebecca, e in entrambi ho trovato quello che cercavo. Forte tensione psicologica, domande destinate a rimanere senza risposta, dubbi laceranti, malinconia, terrori inconsci. Temi che danno molto a cui pensare, insomma.

Titoli come Rebecca la prima moglie, Mia cugina Rachele, Gli uccelli, sono scolpiti nella memoria delle persone. Ne sono stati tratti grandi film da un genio del cinema come Hitchcock. Ecco perché quando ne sentiamo parlare è come se li conoscessimo già, come se in un qualche modo ci appartenessero. Bella sensazione. Ma ancora più bello è addentrarsi nelle storie che abbiamo viste rappresentate al cinema, all'interno di pellicole magistrali.

Come mai il genio di Hitchcock fosse così attirato dalle storie di Daphne du Maurier è presto detto. Sono capolavori della tensione. Strano che all'epoca della pubblicazione la maggior parte della critica li abbia dismessi, relegati all'interno di categorie che du Maurier odiava. Sentiva che i suoi romanzi erano intrappolati tra le fila delle storie romantiche e gotiche. E invece lei conosceva Freud e Jung, aveva un temperamento incredibile, una personalità che spaziava tra la grande riservatezza e l'impulsività. E, ancor più interessante, aveva amato alla follia un luogo – Menabilly.

La storia di Rebecca è costruita attorno ai segreti. Svolgere questo romanzo è come togliere ogni volta un velo e venire a conoscenza di qualcosa di inaspettato ma indiscutibilmente prezioso.
Si tratta di storie nelle storie, finemente intrecciate, e che non lasciano nulla al caso. In questo senso, la costruzione del romanzo sembra abbia qualcosa di cinematografico e scenografico. Viene dato un indizio al lettore, e questi può coglierlo oppure no in attesa della grande rivelazione. Si capisce che Rebecca ha qualcosa del giallo, del thriller, e infatti non mi sorprende che Agatha Christie fosse una ammiratrice e corrispondesse con du Maurier. Ma è difficile dare una etichetta al libro.

Se cercate una storia d'amore, avete scelto il libro sbagliato. Il fulcro del romanzo ruota attorno a tematiche diverse.

Una delle più affascinanti è il fraintendimento.

Come suggerisce la voce narrante del romanzo, gli uomini interpongono tra di loro e la verità un muro di bugie e consuetudini. Tutto questo impedisce la vera felicità e la tranquillità. Ed è proprio questo che i personaggi del romanzo fanno, non sono mai sinceri al cento per cento l'uno con l'altro; tra di loro erigono un velo così spesso da ricordare la fitta nebbia che a volte sommerge Manderley. Che non sia, la nebbia, una metafora della loro incapacità di penetrare questo insormontabile muro di bugie e segreti? Può darsi. Daphne du Maurier è una maestra della costruzione psicologica, del dubbio, dell'illusione. Le consuetudini, dicevo, sono una delle caratteristiche più fondamentali all'interno delle quali la routine di Manderley si consuma. Ecco il perché del ripetersi, spesso, il racconto della cerimonia del tè con una descrizione sempre uguale. Questa ridondanza non è un riempitivo, ma un indizio. La cerimonia avrebbe continuato così per sempre, dice la seconda signora de Winter, come a suggerire che le abitudini spesso sono troppo forti per essere contrastate e che i segreti rimarranno sempre lì, ad un passo dallo scoprire i loro profili, ma comunque troppo ben sotterrati per emergere.

Sembrano indizi innocui, ma non lo sono; costituiscono una sorta di fondamento destinato a crescere, o anche potremmo pensare ad uno di quei giochi in cui si uniscono i puntini a penna in modo da ottenere un disegnino.
Vengono disseminati tanti indizi del genere – che nei romanzi di du Maurier sono indizi psicologici – fino a che il gran finale non è pronto ad erompere sullo sfondo e nessuno sarebbe mai in grado di poterlo fermare.

Fraintendimento abbiamo detto, sì, e bugie, ma non è tutto. Le paure inconsce e i terrori svolgono gran parte del lavoro in Rebecca; ci troviamo di fronte ad uno scenario in cui, dai più piccoli timori, fobie che tutti quanti potremmo provare ( l'incapacità di adattarsi subito ad un ambiente estraneo), vengono a formarsi pericoli reali.

Portatrice dei primi terrori è la terribile Mrs. Danvers.
Antagonista d'eccezione, tratteggiata quasi come uno schizzo a carboncino di Tim Burton, Mrs. Danvers è la governante di Manderley. Anziana, gelida nei propri propositi, vestita perennemente di un luttuoso nero, impedisce alla figura di Rebecca di scomparire dalla scena. Col suo amore disperato e fedele rivolto alla padrona scomparsa, Mrs. Danvers calca le scene con un solo obbiettivo – quello di impedire che la defunta venga in qualche modo dimenticata e umiliata dalla presenza di un'altra donna. Per quel che mi riguarda è un personaggio iconico, forse anche più della splendida e selvaggia Rebecca. Tutte le volte che la Danvers fa la sua comparsa in scena, il gelo scende sulla mente e sul corpo della dolce e innocente seconda moglie.

Questo terrorismo psicologico è condotto in maniera magistrale; non ci sono mai attacchi fisici, non ci sono urla, ma gesti mirati, vendette, discorsi che vanno a colpire al cuore.

Eppure anche Mrs. Danvers verrà ridimensionata, una volta che quel muro di cui abbiamo parlato prima, il muro del fraintendimento e della consuetudine, verrà tirato giù.

Parliamo d'amore. Ho detto che Rebecca non è un romanzo d'amore, e non lo è, poiché non è presente una storia d'amore canonica. Avrebbe potuto esserci, se fossimo stati in un libro di Jane Austen. Dopotutto abbiamo tutti gli elementi: un uomo solo e triste, e una giovane donna con l'intenzione di renderlo felice. Ma Maxim de Winter e la giovane donna non sono che personaggi al margine di eventi per loro troppo grandi da rimaneggiare. Non possono vincere, o imporsi sulla scena, poiché non sono loro i protagonisti veri e propri.

I veri protagonisti sono Manderley e il destino. Un destino drammatico, omicida, di fuoco.

Ho nominato Jane Austen, ma avrei dovuto tirare in ballo una delle mie scrittrici preferite, autrice di un romanzo che, già ai tempi dell'uscita di Rebecca era considerato iconico – un classico.

Pensiamoci bene: un ricco e affascinante uomo sulla quarantina, una tenuta indimenticabile in Inghilterra, una giovane donna, segreti ben nascosti e prime mogli da dimenticare. Non vi ricorda qualcosa?

Jane Eyre, ovviamente! Il capolavoro di Charlotte Bronte.

E' stato ovvio ricordare Mr. Rochester, Thornfield Hall, la tanto amata eroina Jane, e la moglie pazza in una delle stanze più nascoste della casa.

I richiami sono palesi, così come lo sono le differenze. Jane Eyre è una eroina a tutto tondo, nel senso che prende in mano la propria esistenza e col poco che le è stato dato si rende indipendente; Jane decide per sé stessa, e non si lascia guidare dall'uomo che ama. La giovanissima nuova signora de Winter invece non ha nemmeno nome personale. Viene solo detto, una volta, che possiede un nome originale datole dal padre. Tutto qua. Giacché non ha un nome, sembra ovvio che non avrà un ruolo da eroina. E' una narratrice, e basta, in balia degli eventi che la terrorizzano e per cui non è stata preparata. Questo senso di inettitudine, insicurezza, accompagnato dal perenne gesto di mordicchiarsi e torturarsi le unghie, la accompagnerà per gran parte degli eventi. Fino ad un certo punto.

Mr. Rochester non ha ucciso sua moglie, l'ha solo nascosta in soffitta. Una moglie pazza che viene nascosta, da una parte, e una moglie pazza, bellissima e incontrollabile dall'altra.

Ecco un altro tema affascinante del romanzo, l'essere donna. Rebecca e Berta ( la moglie di Rochester ) sono due donne fuori controllo. Nessuna delle due rispecchia l'ideale di donna del tempo in cui vivono; entrambe indipendenti, forti, fuori dagli schemi, non concedono ai mariti di dominarle. Le loro personalità non vengono schiacciate, ma schiacciano con una violenza che agli uomini è sconosciuta. La violenza di una bestia selvaggia, o forse solo di una donna a cui la vita in una tenuta sta molto stretta. Sono delle riflessioni forse un po' al margine, ma che più rifletto e più vengono fuori. E non voglio salvare queste donne – che non erano per nulla innocenti! – ma cercare di mostrare l'altra faccia della medaglia. Checché si dica, nascondere una moglie in soffitta non è mai una bella cosa.

Daphne du Maurier e Elizabeth Jane Howard, le mie due ultime scoperte vincenti in fatto di letture, mi hanno insegnato una lezione importante. Entrambe scrivono di cose che conoscono molto bene, tramutano esperienze personali in storie di successo. Daphne du Maurier era una donna molto riservata, non amava esporsi troppo in pubblico, non amava la mondanità portata ai suoi più alti livelli. E detestava il ruolo di moglie al seguito del marito, in cui si trovò relegata al momento in cui dovette partire per l'Egitto. Ecco che non è difficile immaginare dove abbia potuto trovare la figura della giovane moglie insicura, che odia il confronto con la gente assettata di pettegolezzi: l'ha pescata in sé stessa. E quella selvaggia creatura di nome Rebecca? Rebecca l'immortale, colei che salpava col proprio Yacht senza aver bisogno di alcun permesso. Sembra che il marito di Daphne du Maurier avesse avuto un'altra fidanzata prima di lei.

Passiamo all'altra tematica fondamentale e tanto affascinante, l'amore per un luogo. Manderley / Menabilly era per Daphne du Maurier un sogno e anche di più. Era una ossessione durata tutta la vita. Il luogo amato diventa quasi un essere vivente. Il sogno nel primo capitolo di Rebecca, mostra questa casa nell'atto di respirare. L'erba, gli alberi, i fiori, l'hanno raggiunta e circondata, ma essa continua a muoversi e riflettere sull'anima della donna un dolore ed un amore destinati a continuare. Daphne du Maurier visse a Menabilly per vent'anni circa, e quando dovette perderla, fu per lei un grande dolore. Sembra che poco prima di morire fosse uscita di casa per raggiungerla, vagando nel bel mezzo della notte, in cerca del luogo a cui sentiva di appartenere.
Questa disperazione e questo amore si respirarono, più che leggersi, nelle pagine del romanzo.

“ Non avremmo parlato di Manderley, non avrei raccontato del mio sogno. Perché Manderley non era più nostra. Manderley non era più. ”

La scrittrice Tatiana Rosnay non a caso ha scritto la biografia di Daphne du Maurier, dando un titolo emblematico: Manderley forever.




1 commento:

  1. Ciao Giada! Di Rebecca ho visto il film, e mi sono subito sentita attratta non solo dalla storia ma anche dall'ambientazione: la magnifica tenuta di Manderley. Persino Maxim de Winter sembra "innamorato" più della tenuta che di Rebecca. Ho sempre sognato di vivere in una casa di campagna inglese, infatti ho un debole per i romanzi inglesi le cui vicende ruotano attorno ad una tenuta.
    C'è una grande analogia con Jane Eyre, i luoghi, la vicenda, il mistero, ma anche i caratteri di Rebecca e Jane, due donne dal carattere forte, in netto contrasto con le altre mogli. Spero di leggere presto anche Rebecca!

    RispondiElimina