martedì 5 giugno 2018

Lamento di Portnoy: addio a Philip Roth


Lamento di Portnoy
Review by Wuthering Heights 


















Oggi voglio parlare della mia ultima lettura (Lamento di Portnoy) nonché di uno scrittore che mi sta particolarmente a cuore: Philip Roth.

Su tutti i volumi della collezione che Einaudi gli ha dedicato è presente una colonnina in cui si racconta di tutti i premi che ha ricevuto; dal Premio Pulitzer per Pastorale Americana alla National Humanities Medal conferita dalla Casa Bianca. Una lista eminente di premi, riconoscimenti, che farebbe brillare gli occhi di qualsiasi scrittore. ( Escluso il Premio Nobel che per anni si pensava l’Accademia Svedese gli avrebbe conferito. )

Durante la mia ultima lettura non ho potuto fare a meno di pensare che la particolarità principale di questo grande autore americano è la sua prosa irriverente. La capacità di raccontare la verità senza schermi, abbellimenti e ninnoli prosaici. 

La mia scoperta di Philip Roth (che come saprete ci ha lasciati il 23 maggio a New York: aveva 85 anni) è iniziata ormai due anni fa quando lessi Pastorale Americana, grande romanzo che racconta l'America. 

Una caratteristica dei romanzi di Roth è la particolare intensità con cui sono scritti; la perfezione della prosa incontra l'idea. Provate a leggere Pastorale Americana, se non l'avete ancora fatto, e capirete cosa vuol dire piangere a calde lacrime per il dolore di un uomo che diventa universale tanto quanto può essere intimo. E, al contempo, emozionarsi per la qualità della scrittura.

Ma passiamo a Lamento di Portnoy.

Alcuni ne parlano come del suo “vero capolavoro” e altri dicono che appartiene al Roth dei primi anni. Un Roth prima della sua Pastorale.

Su La lettura ( supplemento culturale del Corriere della sera ) due settimane fa è apparso un articolo firmato da Marco Missiroli in cui si parla di scrittura. Si parla, oltre che di Agota Kristof e Romain Gary, un po’ del giovane Roth, un uomo che decide di rinchiudersi in un appartamento a New York e lasciare tutto pur di dedicarsi alla scrittura.

“ Ho abdicato alla vita per raccontare la vita” ha detto Philip Roth; una frase che ho trovato non solo bellissima ma anche rivelatrice. Attraverso una frase del genere sono riuscita a sentire la voce di lui e a intuirne, pur in minima parte, pensieri, aspettative e sogni.

Quindi il giovane Roth se ne va in una sorta di isolamento per scrivere proprio Lamento di Portnoy, e quando lo scrive ha più o meno la stessa età del protagonista. Alex Portnoy, giovane uomo ebreo dalla luminosa intelligenza, è un personaggio iconico.

Se amate molto i personaggi di Woody Allen, probabilmente potreste amare Alex Portnoy. Ho pensato che Alex sia  ( quasi ) come un personaggio di Allen ma portato all’eccesso. Nevrastenico, insofferente quasi a tutto, frustrato, critico, intelligente sopra la media, con un complesso di Edipo mai risolto e irrisolvibile. Un amore / odio verso la bellissima e intransigente madre ebrea.

Roth ti fa entrare dentro una famiglia ebrea come Alice entra nella tana del bianconiglio. E' un capitombolo. Non ti aspetti cosa succederà, e scivoli, cadi cadi cadi. E urli. Le restrizioni della vita ebrea di ebrei praticanti, le paure e il senso continuo di soddisfazione / insoddisfazione che si prova ad essere americani ma a non esserlo del tutto, riesce ad accerchiarti con una violenza inquietante. 

Il libro è scritto sotto forma di un lungo monologo che Alex pronuncia davanti uno psicologo di nome Spielvogel. E’ stato facilissimo immaginare quest’uomo giovane, isterico e dal lungo naso, sdraiato sopra un lettino e osservato da un terapeuta impassibile che lo lascia urlare.

Questo libro è un lungo urlo, ho pensato spesso mentre leggevo, e infatti finisce con lui che urla. Incredibile, vero? Alcuni romanzi riescono a condurti proprio dove vogliono e dove tu vuoi. 
I temi centrali di questo lunghissimo e arzigogolato monologo sono la famiglia, i due genitori, l’essere ebrei.

Cosa vuol dire essere ebrei nell’America degli anni 40, 50, 60. Cosa vuol dire essere ebrei sempre? 

Forse, viene detto ad Alex verso la fine del libro, tu hai incanalato tutte le pressioni e le frustrazioni non solo dei tuoi parenti ebrei ma di tutto il popolo ebraico. E invece di migliorare e di essere felice, (per essere scampato al massacro), continui un processo di auto distruzione che non si fermerà mai. 

Un processo di infelicità, frustrazione, condito da ironia ma anche da una lucida presenza di spirito che io ho apprezzato molto.

Altro tema centra del libro: il sesso. 

Le pulsioni sessuali del piccolo Alex crescono parallelamente alla frustrazione intellettuale e fisica dell’adolescenza. Tutto è soffocante, nella sua vita, dal rapporto con i genitori alla consapevolezza di essere ebreo, di vivere in un quartiere ebreo. Questa presa di coscienza viene sottolineata da Roth con l’uso continuo di parole ebraiche. Una su tutte: i goy ( i non ebrei, i gentili ) e tutte le derivazioni di questo termine pronunciate da madre e padre Portnoy quasi con orrore oltre che con ironia tagliente.

La linea di demarcazione tra il “noi” ( ebrei ) e il “loro” ( i goy americani ) viene continuamente tirata.

Alcune citazioni del libro sono assolutamente perfette per rappresentare una parte d’America vista dall’esterno, dagli occhi di un ragazzo che ne fa parte eppure non del tutto.


Ecco cosa pensa il giovane adolescente Alex Portnoy, quando osserva, ammira, desidera e insegue, le “shikses” ( le ragazze non ebree ) sulla pista di pattinaggio.


“ Perché queste sono le ragazze i cui fratelli maggiori sono gli attraenti, virtuosi, sicuri, puliti, veloci e poderosi mediani delle squadre  universitarie di football chiamate Northwestern e Texas Christian e Ucla. I loro padri sono uomini con capelli candidi e voci profonde che non sbagliano mai i verbi, e le loro madri le signore con sorrisi educati e le maniere squisite che dicono cose come: ‘Credo proprio, Mary, che abbiamo venduto trentacinque torte alla Vendita di Beneficienza’. ‘ Non tardare troppo, cara’ cinguettano ai loro piccoli tulipani, che sfarfallano negli abitini vaporosi di taffettà dirette al ballo studentesco, accompagnate da ragazzi i cui nomi saltan fuori direttamente dai libri di lettura elementari, non Aaron, Arnold, Marvin, ma Johnny, Billy, Jimmy, Tod. Non Portnoy o Pincus, ma Smith, Jones o Brown! Questa gente sono gli americani, Dottore ( … ) ”


Vedere l'America attraverso gli occhi di uno scrittore come Philip Roth è un privilegio e vi invito a leggere quanto più possibile di lui. Consiglio Lamento di Portnoy a tutti quanti, per scoprire un Roth incredibile, scatenato, urlante e fustigatore. Il suo personaggio, che ho trovato meraviglioso, umano, per tutti quanti i suoi difetti, per la sua voglia di evadere dai confini prestabiliti, vi resterà vicino con le sue urla e le sue avventure. Un libro da leggere e rileggere.


“ Ebreo ebreo ebreo ebreo ebreo! Mi sta già uscendo dagli occhi, la storia degli ebrei sofferenti!
Fammi il piacere, popol mio: prendi la tua sofferente eredità e ficcatela su per il tuo sofferente culo... si dà il caso che io sia un essere umano! ”











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