giovedì 2 agosto 2018

Una marea di classici: wrap - up di luglio

Letture del mese di luglio
By Wuthering Heights 











Il lungo mese di luglio è passato sotto il segno dei classici. E’ sempre tempo di un buon classico, a mio parere, ma l’estate è fatta apposta per i grandi recuperi. Penso che non ci sia niente di più bello che appropriarsi, per la prima volta, di un capolavoro della letteratura. Mentre speravo che le temperature non salissero troppo - da brava amante di pioggia e temporali quale sono - ho divorato un sacco di magnifici libri che mi hanno arricchita tantissimo.

Ho iniziato il mese con una riposante lettura in inglese. Si tratta di Smith of Wootton Major ( Il fabbro di Wootton Major ) di J. R. R. Tolkien, l’ultima favola scritta dall’autore. In quest’opera sembra che Tolkien abbia voluto raccontare cos’è il fatato e cosa significa per l’uomo entrarvi in contatto. Il volumetto è arricchito da approfondimenti e un saggio dell’autore stesso che ho trovato illuminante. Anche a voi da fastidio leggere le introduzioni ai romanzi? Spesso fanno spoiler, ragion per cui evito di leggerle all’inizio e le lasciò per quando avrò finito. Secondo Tolkien tra il lettore e il libro non dovrebbero esserci introduzioni, ma solo una postfazione - per discuterne insieme.  Io concordo appieno, e voi?

Di tutt’altra natura è La peste scarlatta dello scrittore americano Jack London. Pubblicato nel 1912, il libro è di una modernità incredibile. Con una prosa svelta e incisiva viene raccontato uno scenario post - apocalittico particolarmente inquietante. Dopo una epidemia di peste, infatti, l’umanità è stata sterminata fino a contare poche decine di creature viventi. Se sentite vicini i libri con argomenti simili consiglio assolutamente di recuperare questo breve testo. In novanta pagine, Jack London è riuscito a realizzare una delle opere migliori nel suo genere. 

Nel corso del mese ho letto anche un libro in inglese, The Language of Thorns di Leigh Bardugo. Lei è l’autrice della trilogia fantasy che ho letto nel mese di giugno ( The Shadow and bone Trilogy ) e questo libro non è altro che una raccolta di sei favole legate allo stesso mondo della precedente trilogia. 
Le favole sono il genere con cui tutti abbiamo cominciato, ma oggi nessuno più le legge. E’ un peccato! Le favole di Leigh Bardugo non sono le solite; hanno uno sfondo dark e un finale mai scontato. 
Se siete fan del Grisha Verse allora questo volume coloratissimo fa al caso vostro.

Sempre al mondo delle favole appartiene un’altra lettura che ho fatto. Sto parlando de L’altra metà delle fiabe, un volumetto piccolo e adorabile pubblicato da Abe Editore. 
Questo piccolo libro, curatissimo, ci da l’opportunità di fare il paragone tra le favole che conosciamo grazie a scrittori come Perrault e quelle originali del napoletano Basile.
Le favole in questione rivelano un lato oscuro che mi è piaciuto tanto.


Da questo momento in poi passiamo ai grandi recuperi; i classici.

Chi non conosce I tre moschettieri di Alexandre Dumas? Ci sono storie talmente famose che le persone si sentono quasi in diritto di non doverle leggere. Dopo aver visto parecchi film, finalmente mi sono decisa a colmare questa lacuna. E che peccato sarebbe stato non farlo! 
I tre moschettieri è il libro perfetto per intrattenersi, viaggiare, vivere avventure. E’ uno di quei classici che ci si immagina ad aspettare pazientemente sullo scaffale. Tanto, si sa, arriverà il suo momento.
Da quando ho girato la prima pagina è stato sorprendentemente facile calarmi in un mondo che ormai è per noi lontanissimo. Eppure, alcuni sentimenti universali riescono a tramutare quella distanza in un soffio. Chi non si scioglierebbe nel sentire il giovane e impulsivo D’Artagnan affermare “ Io sono un moschettiere nel cuore”? 
Penso che nella vita di un lettore debba esserci spazio per i grandi romanzi d’appendice come questo, per gli intrighi di corte e le furbizie, i combattimenti, le fughe. Per i personaggi crudeli e astuti come il cardinale Richelieu e la demoniaca “Madame.” 
Diciamo che I moschettieri si possono amare in un solo modo, con l’animo di un ragazzino che scopre i primi tesori letterari. Bello tornare a quel punto, no? 

La mia gita nel mondo dei classici ha avuto un seguito con La tempesta di William Shakespeare che ancora mi mancava, e poi è arrivata La famiglia Aubrey di Rebecca West, meravigliosa saga familiare su cui ho scritto già un articolo che trovate qui sul blog. 

Siamo arrivati circa a metà mese di luglio; il momento più importante di tutto il mese, io che leggo Madame Bovary di Gustave Flaubert
Classico francese di un grande scrittore francese, citato in decine di libri letti in precedenza e in tutti i saggi di tema letterario. 
Ero curiosa all’inverosimile. Ma non credevo mi sarebbe piaciuto tanto.
E invece non ho solo letto Madame Bovary, io l’ho divorato.
Come capite quando avete raggiunto un rapporto di “simbiosi” col libro in lettura? Io di solito lo capisco quando inizio a sottolineare ( a matita! ) e quando porto il libro con me da una stanza all’altra. Non lo perdo di vista.
Così è stato. 
Madame Bovary è il romanzo perfetto, un cerchio che si chiude senza lasciare sbavature; è un insieme di momenti indimenticabili, di immagini epiche.
Alcune persone mi hanno detto di aver detestato Emma Bovary, io invece l’ho trovata una sorta di eroina. Una donna prigioniera e ribelle, desiderosa di vivere e di amare come nessun’altra donna attorno a lei faceva - poteva fare.
E’ proprio questo “sentire” profondo che scava una distanza troppo grande tra Emma e tutti gli altri, uomini o donne che siano, e che impedisce loro di comprenderla. Di venire in suo aiuto. 
La solitudine di Emma è sempre totale, accerchiante, ma nonostante ciò la sua passione non si estingue mai e la porterà ad una tragica fine.
Per quanto riguarda la prosa di Flaubert, cosa potrei dire io che già non è stato detto? 
Gustave Flaubert introduce elementi nuovi; Flaubert è un innovatore. Riesce a descrivere un momento di feroce intimità senza nemmeno pronunciare una volta le parole riguardanti i corpi incriminati. L’incontro di due amanti, che avrebbe potuto essere descritto con dovizia di particolari scottanti, si riduce ad una frenetica e lunghissima corsa in carrozza; alla fine un biglietto che viene fatto a pezzi.
( Parlo dell’incontro di Emma Bovary e Leon. )
E poi ancora, la scena dei comizi; Emma che cade in una febbre cerebrale infernale per quaranta giorni; le corse in quella umida campagna francese; i capelli neri, gli occhi scuri di Emma. 
Bisogna leggere Madame Bovary per tanti motivi, uno di questi è la qualità quasi dolorosa della prosa. Vi sembrerà di stare assistendo ad una rassegna di fotografie d’epoca capaci di prendere vita.

Come avrete capito sono rimasta conquistata da Madame Bovary e dal suo autore ( e spero di leggere tutte le sue opere.)

Dalle sofferenze di Emma Bovary sono passata, pochissimi giorni dopo, a Lolita di Vladimir Nabokov. 

Io e Lolita ci eravamo già incontrati parecchi anni fa. Avevo sedici anni e lanciai il libro dalla finestra, travolta dal disgusto e dall’ira verso Humbert. Troppo giovane, forse, per godere appieno del libro.

Le prime centottanta pagine di Lolita mi hanno travolta; sono passate velocemente, fluite con una naturalezza profonda.  La seconda parte è stata molto difficile da leggere, non lo negherò. Ho dovuto lottare di nuovo contro l’istinto di accantonare il libro in un angolo, ma sono riuscita ad andare avanti.

Mi sono ricordata una frase di Oscar Wilde: “Non esistono libri belli o libri brutti, ma solo libri scritti bene o scritti male.” 

E’ secondo questo metro di giudizio che ho letto Lolita da pagina centottanta fino alla sua fine. 

Parliamo della prosa. Raramente mi ero imbattuta in uno stile di scrittura così fiorito, arzigogolato, sensuale. Vladimir Nabokov scrive meravigliosamente. E non è solo lo stile di scrittura ad avermi incantato, ma la capacità assoluta dell’autore di calarsi nella mente di un uomo malato come questo protagonista. 


Il mese di luglio è stato il mese in cui ho iniziato tanti percorsi nuovi. E’ come se avessi preso una mappa e tracciato tante strade da seguire. E’ così che mi sento quando inizio a leggere un autore per la prima volta.

Ho letto per la prima volta Dumas, Flaubert, Nabokov. E ho letto anche Virginia Woolf.

La signora Dalloway è stata per me una boccata d’aria fresca dopo i giorni difficili passati a riflettere su Lolita. Amo da sempre gli autori inglesi e le atmosfere britanniche, e devo dire di essere stata accontentata al massimo. 

Clarissa Dalloway, donna appartenente all’alta borghesia londinese, esce una mattina per comprare i fiori della festa che si terrà quella sera a casa sua. La sua passeggiata verrà accompagnata da pensieri non sempre rosei. 

La prosa di Virginia Woolf è bellissima, poetica, e il libro è pervaso di un lirismo che mi ha colpito molto. Il flusso di coscienza dell’autrice non stanca mai, non aggroviglia il lettore all’interno di un labirinto difficile. Anzi, per me è stato immediato e semplice seguire i pensieri dei personaggi. 

Ho apprezzato davvero molto il modo in cui Virginia Woolf sposta l’azione da un personaggio all’altro. Questo saltare da un personaggio all'altro, seguendone i pensieri e le impressioni visive. Sembra quasi un filo, un filo che si trasforma in un gomitolo che continua a dispiegarsi per tutto il libro. 
Siamo a livelli altissimi per l’introspezione psicologica. Non mi aspettavo che Virginia Woolf fosse così poetica, o di sentirla così affine.

Riesco a trovare solo pregi a La signora Dalloway. Bello è che la narrazione inizi e finisca nell’arco di una giornata; bello il pretesto di andare a prendere i fiori. Un piccolo gioiello da avere assolutamente nella libreria, se amate la letteratura.

Una delle citazioni che ho amato di più:

“Il suo unico talento era capire le persone quasi d’istinto, pensò, riprendendo a camminare. Se la mettevano in una stanza con qualcuno, inarcava la schiena come un gatto, o faceva le fusa.” 




Per ultimo, ho letto Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro. 
Premio Nobel per la letteratura 2017, Kazuo Ishiguro è un autore giapponese trasferitosi da piccolissimo in Inghilterra. 

Di suo avevo letto l’anno scorso Il gigante addormentato, un libro abbastanza difficile da intrappolare in un genere. Forse per questo motivo mi era piaciuto molto!

Quel che resta del giorno è totalmente diverso dal libro che ho appena citato. 
Per chi non conoscesse il libro ( da cui è stato tratto un film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson) ecco una breve trama da me riassunta.

Mr. Stevens è da circa tre decenni il maggiordomo di una antica dimora inglese, Darlington Hall. La dimora è stata recentemente venduta ad un uomo americano, dopo la morte del padrone che Mr. Stevens ha servito tanto allungo.
Quando il nuovo padrone offre a Mr. Stevens una settimana di vacanza, l’uomo decide di fare un viaggio in macchina con meta la Cornovaglia.
Questo viaggio sarà una occasione di riconsiderare tutta la sua carriera, la sua vita, in merito all’ideale che egli ha sempre seguito -  la dignità.

A prescindere dall’ambientazione inglese, Quel che resta del giorno è un capolavoro sotto tanti punti di vista. Menzione d’onore per i personaggi: raramente ne ho visti così bene caratterizzati. La prosa di Kazuo Ishiguro è modellata alla perfezione sul protagonista. Non sarebbe possibile immaginare di entrare meglio nella mente di un maggiordomo inglese. Si capisce che l’autore ha scelto un modo di esprimersi adeguatissimo; ogni parola è al posto giusto. Già questo, secondo me, conferisce grande bellezza al libro.

All’inizio non mi aspettavo che fosse narrato in prima persona, che fosse Mr. Stevens stesso a raccontare, ma questa scelta risulta di grande impatto. Il personaggio ha una voce penetrante, diretta, nonostante la sua estrema delicatezza ed eleganza. 

Per quanto riguarda il personaggio stesso, penso che lo si possa soltanto amare. Nonostante la sua difficoltà nel comportarsi come qualsiasi altro essere umano, nonostante la sua freddezza, l’ho trovato un personaggio meraviglioso. E non solo per come è scritto. Immagino che questo genere di persona al giorno d’oggi non esista più; alcune categorie, se così si può dire, vanno direttamente incontro all’estinzione e non ci si può fare nulla. Dipende dalla società, dai cambiamenti che si svolgono senza che nessuno possa fermarli. Da questo punto di vista è stato molto affascinante vedere con tanta accuratezza una Inghilterra ormai lontana. 
Ci sono tanti momenti di struggente malinconia, nel libro, e per questo motivo risultano indimenticabili. Il rapporto di Mr. Stevens con suo padre, ad esempio, l’ho trovato profondamente triste; l’amore vanificato, sfumato, di Stevens stesso e la governante Miss. Kenton. E, ancora, le lunghe riflessioni sul proprio mestiere, da lui vissuto come una missione quasi sacra. La domanda finale: ne è valsa la pena? Penso sia una domanda che tutti gli esseri umani si pongono o si porranno, prima o poi.

Kazuo Ishiguro riesce a trasformare il dolore in poesia pura. 

Ho davvero amato Quel che resta del giorno e lo posso paragonare senz’altro ad una perla rara.







1 commento:

  1. I tre moschettieri è uno dei miei romanzi preferiti. L'ho letto per la prima volta in prima media e ogni volta che ci penso o lo rileggo mi ritorna la stessa gioia fanciullesca.
    Madame Bovary mi ha invece un poco delusa. Forse perché trattandosi di un romanzo molto famoso avevo aspettative più alte. La tecnica narrativa l'ho molto apprezzata, ma il personaggio di Emma mi è parso irritante, distaccato dalla realtà.
    Di recente ho letto Quel che resta del giorno, è un vero gioiello che ancora mi fa riflettere quotidianamente, lo sto assimilando piano piano.

    P.S. Anch'io non ho un buon rapporto con le introduzioni. A volte le leggo alla fine, perché le trovo più utili in questo modo, altre volte non le leggo proprio.

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