giovedì 10 gennaio 2019

Madonna col cappotto di pelliccia, Sabahattin Ali: recensione.

Madonna col cappotto di pelliccia
Recensione di Wuthering Heights



“Non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore.”





Quali sono le prerogative che rendono un libro degno di essere chiamato classico?
E chi è che sceglie di lasciar entrare nell’Olimpo delle storie questi pochi privilegiati? 
E’ il lettore comune che dovrebbe decidere e che dalla comoda solitudine della sua poltrona, pur senza parlare, inizia una spontanea operazione di riconoscimento.

Il lettore tiene tra le mani il libro; è totalmente avvolto dalla magia della storia. Ha aperto la porta e l’ha richiusa dietro di sé. E’ solo, ma anche in compagnia. Ha appena riconosciuto nel volume che ha tra le mani un capolavoro. Qualcosa ha sussurrato al suo orecchio un sì. 

E’ questa la sensazione che suscita Madonna col cappotto di pelliccia (1943), dello scrittore turco Sabahattin Ali. 

Libro breve ma di grande impatto, poco più di duecento pagine, inizia con un mistero. 
Il giovane narratore conosce un uomo a lavoro; questi è oltremodo timido, chiuso in sé stesso, sembra immune persino ai maltrattamenti.
Chi è Raif Effendi, mediocre che non combatte con la vita ma si limita a subirla? Uomini così, che non fanno nessuno sforzo, simili a vegetali, provocano quasi fastidio. Il lupo che è nell’osservatore, sempre pronto a soverchiare, si sente chiamato in causa. Scatta il desiderio di colpire, torturare quell’uomo che non concede nemmeno uno spiraglio per lasciarsi conoscere.

Potrebbe essere fratello letterario di un altro uomo “mediocre” che appartiene a un libro molto amato, e recentemente riscoperto, dello scrittore John Williams, Stoner. William Stoner, professore solitario, una statua attorno alla quale scorrono le acque impetuose della vita ma che nulla riesce a smuovere dalla sua posa stoica.

Raif Effendi e William Stoner: due uomini che, appena nati, hanno ricevuto sulla fronte il bacio della solitudine.

Il problema era che quelli che gli stavano intorno non lo conoscevano e lui non era certo il tipo di persona che cercava di farsi conoscere.” 

Dice il nostro giovane narratore, ma non prima di essersi fermato al giudizio delle apparenze per qualche lungo mese. 

Da dove nasce questo evidente desiderio di non farsi conoscere, allora, bisognerà scoprirlo.
Bisognerà andare indietro, ritornare a tanti anni prima, quando il giovane Raif Effendi, lasciata la Turchia con pochi rimpianti, va a vivere a Berlino. 
Questa è la Berlino degli anni venti-trenta; si respira un clima non del tutto pacifico, ma in cui sopravvivono ancora l’arte, il glamour un po’ indecente dei locali notturni come l’Atlantik, i giardini zoologici. Una Berlino un po’ favolistica, glaciale, eppure interessante e in qualche modo benigna.

Sin dall’infanzia temevo di sciupare la felicità. Desideravo sempre conservarne un po’ per il giorno dopo… Questo timore mi spingeva a rinunciare a molte opportunità.”

Raif Effendi è un uomo che ha sempre avuto paura di tutto, ma anche poco interesse a lanciarsi nella vita. E’ solo timore oppure una sorta di precoce nichilismo?
Questo finché, durante una mostra d’arte, non vede esposto l’autoritratto di una donna: è sconvolto, ammaliato.  
I suoi desideri convergono solo verso quel dipinto, e poi verso la pittrice.

Se uno dei punti di forza del romanzo è la profondità commovente nella descrizione dei sentimenti, la cura della introspezione psicologica, un altro è il parallelo arte – vita. 

L’arte che migliora la vita, compie una svolta, la guida coinvolgendola in viaggi inimmaginabili.

Succede in molti romanzi, come anche nel famoso Il cardellino di Donna Tartt.

In Madonna col cappotto di pelliccia però l’arte e la vita si legano al sogno, alle speranze romantiche e al loro lato più poetico, quando Raif Effendi vede davanti agli occhi manifestarsi la donna del dipinto. In carne e ossa. La meraviglia di quel momento si trasmette al lettore. 

Era lei.” Dice l’incredulo Raif Effendi. “Era lì, avvolta nel cappotto di pelliccia di gatto selvatico, il viso pallido, gli occhi neri, il naso lungo, la Madonna col cappotto di pelliccia che avevo visto alla mostra.

Il sogno è entrato nella realtà, la realtà sfuma nel sogno. 

Il libro ha il fascino di un vecchio film, sia per quanto riguarda la trama che per le descrizioni della città di Berlino. Le strade ghiacciate, i palazzi dalle facciate impenetrabili, i giardini pubblici, e poi soprattutto quel gelo che si lega perfettamente alle sensazioni del protagonista. 
La paura, quasi le sue vene siano ricoperte di una patina di ghiaccio, l’insicurezza, il bisogno di discrezione e la solitudine. 

La capacità descrittiva di Sabahattin Ali è piena di pathos, paragonabile in questo senso ad un film di Bertolucci. 
Ultimo tango a Parigi, forse, dove il protagonista si perde per le strade della città con la solitudine come unica compagna. 
Gli sguardi che si cristallizzano all’interno di un attimo, quell’attimo rimane per sempre. Un diamante allo stato grezzo. Le corse da un punto all’altro della città; poi finalmente lei, la sua Madonna col cappotto di pelliccia in carne ed ossa come per miracolo, la conquista dell’amore e della voglia di vivere. La scoperta di avere un’anima. 

Maria Puder mi aveva insegnato che avevo un’anima. E pure io per la prima volta scoprivo che anche lei, tra le tante persone che avevo incontrato, ne aveva una.”

Quindi siamo soli finché non ci innamoriamo, o meglio lo siamo finché non troviamo quell’unica persona capace di vederci. 
The one and only, come dicono gli inglesi. 
Una persona a noi simile, che capisce, e non solo, che comprende. 
Il Raif Effendi di Sahabattin Ali è senz’altro un romantico vecchio stampo. Appartiene ad un’epoca di uomini per cui l’amore esiste una volta sola e non può essere riprodotto. E non tutti hanno la fortuna di poterlo trovare. 

Chissà dove è adesso, sembra sussurrare l’autore dalle pagine del libro, la persona in grado di comprendere voi e di farvi sentire che avete un’anima. 
Ricorda il vecchio mito degli Androgini, nel Simposio. In età antica gli uomini avevano quattro braccia, quattro gambe, due volti e quattro orecchie. A causa del loro potere Zeus decise di dividerli in due, affinché non costituissero una minaccia per gli dei. Dopo che furono divisi, essi non desideravano altro che cercare la loro metà e iniziarono a morire di fame poiché non potevano fare nient’altro, incompleti come erano.

Per quanto poetica e dal sapore antico, tuttavia la storia d’amore di Raif Effendi con Maria Puder, la Madonna col cappotto di pelliccia, non è una favola a lieto fine come non lo sono mai nemmeno i miti greci. 
La donna amata è affascinante e, per certi versi, femminista. Abbandonata da un padre che non ha mai conosciuto veramente, crede in modo feroce nella propria indipendenza e libertà; pensa che gli uomini siano dei predatori e dei soverchiatori e non se ne da pace. Decide sin dall’inizio della relazione di giocare solo secondo le sue regole; sa che tutto avrà fine, prima o poi, che bisogna accettarlo subito.

Mi pare di capire che due persone possono avvicinarsi fino a un certo punto, oltre il quale si allontanano ogni volta che fanno un passo per ridurre la distanza che li separa.”

Madonna col cappotto di pelliccia è una Bibbia di verità profonde riguardo l’amore, la solitudine e la vita. Vi si trova la rara sensibilità dello scrittore che sa osservare il mondo, entrare nelle pieghe più intime dell’animo umano e tradurre il suo linguaggio segreto in lingua comune. Si tratta di una operazione straordinaria e delicata, e pochissimi sono coloro che riescono con successo. Eppure Sabahattin Ali è uno dei pochi; con la sua prosa avvolgente, fluida e intima, ci fa dono con spontaneità di verità che tutti possiamo vedere, o quasi, ma che non sappiamo scrivere. Non possiamo trasmetterle con la limpidezza che troviamo in queste pagine, o saremmo tutti grandi scrittori.

Limpidezza e spontaneità,  la chiarezza, sono alcune tra le caratteristiche di un libro che deve essere senz’altro definito classico.
Un classico che parla d’amore, della ricerca di se stessi, ed è quindi anche romanzo di formazione, parla di conquista e perdita, della solitudine. C’è tutto, in Madonna col cappotto di pelliccia, ci sono i drammi familiari, i padri che non capiscono o abbandonano i figli, i padri che non conosceranno mai i figli pur desiderandoli. C’è l’arte, l’amore che è arte, e rimane cristallizzato all’interno di un ritratto esposto a una mostra nella città di Berlino. 

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